Antonio Sambalotti e i Gemini nei mesi scorsi ci hanno fatto ballare con Sapore d’estate, riportandoci a sfumature latine con un’atmosfera elettropop che è sempre più raro trovare. I Gemini, d’altra parte, non sono certo un gruppo che ama le sfide facili e scontate. Ad aprile hanno partecipato al programma The Band, su Raiuno, portando niente meno che una canzone di Lucio Battisti, Ancora tu.
Dopo un’estate ricca di live, a cominciare dalla serata organizzata da Luca Guadagnini, Rock per un Bambino, a Genzano di Roma, fino al Minturno Festival, i Gemini stanno lavorando a nuovi progetti, ma oggi vogliamo raccontarvi insieme ad Antonio Sambalotti, leader del gruppo, un’altra sfida che lo ha visto protagonista, quella da interprete della sigla di Baby Boss, la serie di Netflix.
Anzitutto, a distanza di mesi, dopo l’estate, che bilancio possiamo fare dell’esperienza di The Band?
Un’avventura fortissima, ricca di grande emozione per esserci finalmente potuti presentare alla platea di Raiuno. Ci sarebbe piaciuto proseguire oltre la prima puntata, ma la repentina eliminazione non ci ha certo frenati. Anzi, sono emersi tantissimi progetti che hanno ridato ulteriore linfa al gruppo.
Sembra essere davvero un periodo d’oro. Tu sei anche l’interprete della sigla di Baby Boss, la fortunata serie di Netflix. C’è qualcosa che ti accomuna a quel personaggio?
Probabilmente la leadership del gruppo, guadagnata da Baby Boss con il carisma e un certo carattere, utili a guidare gli altri in un percorso. Credo, però, di essere un po’ più paziente di Baby Boss! Lo dovremmo chiedere agli altri componenti del gruppo, ma credo di non essere così irascibile!
Come è nata questa occasione con Baby Boss?
A coinvolgermi è stato Marco Massimi, sound engineer e docente di elettroacustica al Conservatorio, nonché produttore di uno studio di registrazione vicino a casa mia. I suoi lavori da bassista di Ennio Morricone, Maria Carey, Barry White, Gloria Gaynor e tanti altri artisti internazionali, non potevano che farmi sentire onorato di essere contattato da lui. Lo studio di doppiaggio italiano della Dream Works aveva commissionato ad alcuni collaboratori la trasposizione della sigla in italiano che riprendesse quella originale americana. Questi si sono rivolti a Massimi, con cui avevo già lavorato per alcuni brani precedenti. Lui mi chiamato, abbiamo analizzato insieme il testo e, così, ne è nata questa appassionante avventura con una specie di rap.
Evidentemente deve essere piaciuta molto, visto che dopo la sigla della prima edizione, Di nuovo in affari, è arrivata anche quella di Baby Boss di nuovo in famiglia.
Dopo che la Dream Works ci aveva approvato la sigla della prima serie, la strada è stata in discesa per quelle successive, perché la loro idea è quella di mantenere il più possibile la stessa voce per ogni Paese.
In tutto il mondo quindi la stessa canzone, interpretata e arrangiata diversamente secondo i gusti melodici di ogni nazione.
Dall’America ci hanno fatto sapere addirittura che la sigla italiana è risultata la più orecchiabile di tutte. Una bella emozione e anche una responsabilità, perché sono proprio le prime note che aprono la visione appena il pubblico clicca sull’episodio della serie.
Quali sono state le indicazioni della produzione per questa sigla?
Io e mio fratello già avevamo avuto un paio di esperienze del genere con altri film e cartoni della Dreamworks per registrare degli stacchi musicali introdotti all’interno delle puntate. Le direttive erano state da subito quelle di cambiare un po’ la voce, provando a interpretare il personaggio (la prima volta si trattava di uno scoiattolo, quindi dalla voce fina, non invadente rispetto alla storia). Cantare per un cartone, in qualche modo, significa fare un po’ i doppiatori e anche questa volta è andata così…
Ti immagini a cantare ancora per i cartoni?
Perché no? Mi piace molto. Sono cresciuto col mito di Cristina D’Avena e Giorgio Vanni, l’idea di seguirne un po’ le orme mi emoziona. Inoltre è un’esperienza nuova anche per me quella di creare qualcosa inerente a un tema già commissionato. Speriamo che si possano ripetere occasioni simili!
Non era proprio la prima volta che facevi una sigla, dico bene?
Gli inni composti per un paio di squadre di calcio e per l’AIAC (Associazione Italiana Allenatori di Calcio), effettivamente, erano stati una buona palestra. Tuttavia, scrivere per bambini è un’altra cosa. Ancora più stimolante che non fare ballare gli adulti direi!